TORAH.IT
Parashat Terumà
5764
Parashat Terumà
5764
"E faranno
per Me un Santuario ed Io risiederò in essi.
Secondo tutto quanto Io ti mostro, il progetto
della Residenza ed il progetto di tutti i suoi oggetti, e così farete."
(Esodo XXV, 8-9)
"e così
farete: Per le generazioni successive; se venisse a mancare uno
degli oggetti, o quando costruirete la Casa Eterna, come le Tavole, i
Candelabri ed i bacini e gli utensili che fece
Salomone, secondo questi modelli li farete.." (Rashì in loco citando TB Sanedrhin 16b)
La costruzione
del Santuario è l’obiettivo di Israele. L’uscita
dall’Egitto, l’apertura del Mare, la ricezione della Torà e l’ingresso in Erez Israel hanno tutti come punto focale la costruzione
del Santuario a Gerusalemme come luogo attraverso il quale la Presenza Divina possa dimorare in Israele. Tale precetto, lo
si è detto più volte non è relegato al passato, ma è precetto positivo
di generazione in generazione per il popolo d’Israele come sancisce il Rambam nel primo capitolo dell’Hilchot
Bet HaBechirà e nel Sefer Hamizvot
(ventesimo precetto positivo).
Tale è l’importanza
della costruzione del Santuario che secondo Rabbì Chajm ben Atar, l’Or HaChajm HaKadosh, se la Torà
non lo avesse espressamente proibito avremmo dovuto costruirci un Santuario
persino in esilio.
"E faranno
per Me un Santuario" …Bisogna sapere perché lo ha chiamato
Santuario (Mikdash) e subito dopo lo
ha chiamato Residenza (Mishkan), come è
scritto "il progetto della Residenza". Ed è evidente che il
Suo dire "E faranno per Me un Santuario" è un precetto positivo che include tutti i tempi, tanto nel deserto quanto
nell’entrare nella Terra d’Israele in ogni tempo in cui vi si troveranno
Israele nelle loro generazioni successive; ed Israele avrebbero dovuto fare ciò
persino negli esili se non fosse che abbiamo trovato che Iddio ha proibito
tutti gli altri luoghi dal momento in cui è stato costruito il Bet HaMikdash, nel Suo dire:
"Poiché non siete giunti fino ad ora al riposo ed al retaggio" (Deuteronomio XII,9). Per questo non ha detto "E
faranno una Residenza", che avrebbe inteso che solo a quel tempo
specifico fu detto questo precetto. E dopo che ha comandato in maniera
generale, ha detto del particolare che viene fatto nel
deserto che non è luogo dove costruire un edificio di pietra per farvi una Residenza
secondo l’ordine di quanto detto fin qui. E troverai
che ha scritto il Rambam nel primo capitolo dell’Hilchot Bet HaBechirà,
che è precetto positivo fare una dimora per il Signore, come è scritto "E
faranno per Me un Santuario"…" (Or HaChajm
HaKadosh in loco)
Nel Talmud Bavlì, nel trattato di Sanedrhin
(20b) è riportato a nome di Rabbì
Josè (secondo altri a nome di Rabbì
Jeudà) che ci sono tre precetti "istituzionali"
che Israele viene comandato di compiere nel suo ingresso in Erez
Israel. Tali precetti sono "concatenati" ed in buona misura
dipendono l’uno dall’altro. Essi sono: la nomina del Re, la distruzione di Amalek e la costruzione del
Santuario. Solo in Erez Israel possiamo portare a
compimento il nostro compito nazionale come popolo indipendente e sovrano che
santifica il mondo intero attraverso la costituzione di una società giusta
nella quale Iddio risieda in ognuno di noi.
Non solo esistono dei
precetti che possono essere adempiuti solo in Erez
Israel, ma persino lo studio della Torà è diverso. In un insegnamento tanto
caro al mio Maestro Rav Chajm
Della Rocca shlita, Jacov
nostro padre nell’uscire da Erez Israel si ferma per
quattordici anni a studiare nella Accademia di Shem ed Ever prima di arrivare
dallo zio Labano. C’è da chiedersi cosa abbia da
imparare Jacov da Ever dopo
aver studiato per decenni con Izchak! Spiegano i
Maestri che esiste una Torà dell’esilio che Izchak non era in grado di insegnargli. Izchak
è di certo il miglior maestro possibile per la Torat Erez Israel, ma non essendo mai stato fuori
da essa non può spiegare al figlio come si vive da ebreo in diaspora. Jacov dovrà poi procedere con i propri figli nel percorso
inverso: farli passare dalla Torà dell’esilio alla Torà di Erez Israel. È un percorso molto arduo nel quale ci si
scontra con i vari Esav, Shechem
e Chamor. Ma è anche un
percorso che si basa sull’educazione dei bambini (vedi in proposito la Derashà su Vajshlach 5759) ed in particolare sull’educazione che
verte su Gerusalemme ed il Santuario come abbiamo visto nella Derashà di Vajshlach 5763.
La Torà dell’esilio e
quella di Erez Israel sono
due modi diversi di vivere e di servire il Signore.
Si può leggere lo stesso episodio del Tanach con l’ausilio della Torà di Erez Israel o con l’ausilio della Torà dell’esilio. Rav Mordechai Elon shlita spiega che la storia di Purim come narrata nel libro di Ester coincide storicamente con gli eventi del libro di Ezrà e Nechemià. Sono due modi di guardare gli eventi. Li si può guardare dalla prospettiva della diaspora o da quella di Erez Israel. Nella sua derashà di quest’anno egli aggiunge che si possono leggere gli stessi versi nelle due ottiche diverse. Vediamo come.
La Meghillat Ester si conclude con un capitolo, il capitolo X, di soli tre versi. Apparentemente esso è non solo assolutamente superfluo, ma anche piuttosto strano. Iniziamo col dire che se la Meghillà si fosse conclusa con gli ultimi versi del capitolo IX, dajenu, ci sarebbe bastato. Lieto fine, e vissero tutti felici e contenti. Anzi, viene pur detto nello stesso capitolo IX, che tutti gli anni festeggeremo nuovamente gli eventi in questione. Eppure il testo continua.
"E mise il re Achashverosh una tassa sulla terra e sulle isole del mare. E tutta l’opera del sua fermezza e della sua forza, e l’episodio della grandezza di Mordechai ecco che sono scritti nel Libro delle Cronache dei re di Persia e Media. Giacché Mordechai il Giudeo, era viceré del re Achashverosh, e grande per i Giudei, e ben voluto dalla maggior parte dei suoi fratelli, ricercava il bene del suo popolo e parlava di pace a tutta la sua discendenza." (Ester X, 1-3)
Questo mini-capitolo conclude l’epoca dei miracoli che possono essere messi per iscritto come impariamo nel trattato di Yomà.
"Disse Rabbì Assì: ‘Perché è stata paragonata Ester all’alba? Per dirti che come l’alba e la fine della notte, così Ester è la fine dei miracoli.’ Ma ecco che c’è Chanukà!? Qui si parla di miracoli che possono essere messi per iscritto." (TB Yomà 29a).
E come concludiamo questa epoca? "E mise il re Achashverosh una tassa sulla terra e sulle isole del mare." E allora? Non è il primo e certamente non è l’ultimo re che mette nuove tasse. A noi cosa importa? Ed ancora "E tutta l’opera del sua fermezza e della sua forza, e l’episodio della grandezza di Mordechai ecco che sono scritti nel Libro delle Cronache dei re di Persia e Media." Questa poi! Nota a piè di pagina: il resto lo trovate nei libri delle cronache dei re di Persia e Media. Per noi equivale a dire: per il resto consultatevi i libri di storia. Ora, dice Rav Elon shlita, è pur vero che la Meghillà abbraccia nove anni di eventi e non si può parlare di tutto, ma si presuppone che Ester e Mordechai che l’hanno scritta su ispirazione Divina abbiano fatto una cernita di quello che era importante scrivere e quello che non è rilevante per noi! Anche il libro della Genesi abbraccia oltre duemila anni di storia umana eppure non c’è scritto consultate i libri di storia per il resto!
"Giacchè Mordechai il Giudeo, era viceré del re Achashverosh, e grande per i Giudei, e ben voluto dalla maggior parte dei suoi fratelli, ricercava il bene del suo popolo e parlava di pace a tutta la sua discendenza."
Nessuna novità anche qui. Persino un personaggio come Mordechai, come leader non riesce ad andare oltre alla maggior parte dei suoi fratelli, quanto a rating. Evidentemente questa è una prerogativa di ogni leader ebreo che si rispetti! Si può essere viceré di Persia e Media, osannati da milioni di gentili, ma andare bene solo al 51% degli ebrei. Una nota barzelletta Yddish dice se un Rav è benvoluto dalla sua comunità e lui stesso va d’accordo con essa, il Rav non è un vero Rav e la comunità non è una vera comunità. Con tutto il rispetto per l’humor Yddish ci aspetteremmo che la Meghillà andasse un po’ oltre…
Che ci fa allora questo capitolo alla fine della Meghillà?!
Rav Elon shlita propone due letture: quella della Diaspora e quella di Erez Israel.
Sullo sfondo della Meghillà c’è senz’altro una crisi economica. A forza di banchetti e di sfarzo Achashverosh si impoverisce. Così il Midrash intende il fatto che alla fine della Meghillà il nome Assuero venga scritto senza una "vav" – "Achash-Rash", Achash il povero. Del resto lo stesso Aman lega la sua richiesta di sterminio d’Israele all’espropriazione dei beni degli ebrei. (Ester III,9) A dire, dammi carta bianca con gli ebrei ed io ti risolvo tutti i problemi economici. Accade quello che accade, Aman venne impiccato e Mordechai prende il suo posto. Mordechai, come Josef prima di lui, rappresenta l’ebreo della diaspora che raggiunge i vertici del sistema. Viceré. Come Josef concentra il suo mandato politico sulle riforme economiche e fa anche gran belle cose, ma questa è storia. La trovate nei libri. Mordechai riforma le tasse, e Josef fa lo stesso in Egitto. Quanto dura? Un mandato? Due? Tre? Poi diviene storia. La conclusione di Ester ci dice che Israele ha l’obbligo durante l’esilio di agire per il bene dello stato in cui si trova e dell’umanità in generale. E questo Mordechai, come Josef prima di lui, lo fa e lo fa bene. È un opera a scadenza, prima o poi sale un nuovo re "che non conosceva Josef". Cionondimeno è un compito che va svolto al meglio delle nostre capacità. Allo stesso tempo dobbiamo saper rimanere ebrei fedeli alle nostre leggi e tradizioni e per questo i due esempi sono Josef il giusto e Mordechai il Giudeo, leader del Sinedrio.
La Torà della Diaspora legge nella storia di Purim il grandioso miracolo della sopravvivenza d’Israele nell’esilio. È il manuale di come si deve aspirare a vivere da ebrei e saper ricoprire i propri impegni sociali ed economici nei confronti del resto dell’umanità e del paese in cui viviamo in particolare. In quest’ottica ci è stata insegnata la storia di Purim da quando siamo bambini. La mano del Signore che ci protegge nell’esilio.
Eppure c’è un’altra lettura per gli stessi versi spiega Rav Elon shlita. La lettura di Erez Israel. La lettura di quanto non è scritto nel capitolo X. Di quei versi che non compaiono e che lasciano il capitolo al verso tre, orfano della storia che sarebbe dovuta essere e non è stata, per colpa nostra questa volta. Gli eventi della Meghillà sono storicamente paralleli al ritorno da Babilonia ed alla costruzione del secondo Santuario.
Nel libro di Ezrà (IV, 1-6) troviamo che nonostante l’Editto di Ciro i lavori per costruzione del Secondo Tempio furono interrotti molte volte per l’opposizione delle popolazioni locali, che si erano insediate in Erez Israel. È detto anche che all’epoca di Assuero, all’inizio del regno, fu scritto un decreto di odio contro gli abitanti della Giudea e Jerushalaim. Alla fine del regno iniziò la costruzione definitiva che fu completata sotto il regno di Dario (forse figlio di Vashtì o di Ester). Rashì su Ester IX,10 è eccezionale:
"I dieci figli di Aman: Ho visto nel Midrash Seder Olam che sono questi dieci che scrissero [un decreto]
odioso contro Jeudà e Jerushalaim
come è scritto nel libro di Ezrà (IV,6) ‘E durante il
regno di Assuero all’inizio del suo regno scrissero [un decreto odioso] contro Jeudà e Jerushalaim’. E cos’era questo decreto odioso? Di far cessare la
costruzione del Santuario da parte degli ‘olim’ dalla
diaspora dell’epoca di Ciro contro i quali avevano
fatto maldicenza i gentili sì da interromperli. E quando morì
Ciro e regnò Assuero e si innalzò Aman, si preoccupò
che coloro che erano a Jerushalaim non si occupassero
della costruzione del Santuario e mandarono a nome di Assuero ai satrapi di
oltre fiume di fermarli."
Aman vuole distruggere Israele. Allora nomina i suoi figli Ministri per la questione di Gerusalemme. Aman non vuole che si costruisca il Santuario e ordina ai suoi figli di occuparsi di ciò. Aman, discendente di Amalek, ha un solo obbiettivo. Impedire ad Israele di rivelare il sacro nel mondo. Impedire la costruzione del Santuario. Così fece nel deserto, così fece Aggag con Shaul, e così di generazione in generazione, dice Rav Elon shlita, ogni qual volta Israele torna nella sua Terra e si avvicina a ricostruire il Santuario, Amalek compare. Amalek non combatte per una terra sua, non ha contese con Israele di carattere economico o territoriale. Amalek è pronto a morire, pur di uccidere Israele. E ciò solo per impedire che il sacro si riveli nel mondo.
La presenza del Santuario nella Meghillà, della lettura di Erez Israel della Meghillà, è maniacale nel Midrash. Basti pensare agli arredi sacri che vengono tirati fuori per il banchetto ed i relativi Midrashim, di cui numerose volte ci siamo occupati, che vi riconoscono gli arredi del Tempio. Ed ancora, il Talmud (TB Meghillà 16a) ricorda che quando Aman, per decreto di Achashverosh andò a cercare Mordechai per vestirlo con gli abiti regali e lo trovò nel Bet Midrash che mostrava a dei discepoli come andava effettuata la kemizà, (il prelievo di farina che compie il Sacerdote nel Santuario). Aman chiede che cosa stanno facendo e gli viene spiegato. Quando sente che un ebreo ha la possibilità di essere perdonato attraverso un semplice pugno di farina, capisce che il suo piano è stato sventato.
La Meghillà ha una sua lettura di Erez Israel che verte sul concetto stesso di Santuario. Così va letta anche l’ostinazione di Mordechai a non inchinarsi. Secondo l’halachà ci si poteva inchinare! Così aveva deciso il Sinedrio (TB Meghillà 12b). Il Midrash in Yalkut Shimonì ci spiega le motivazioni di Morechai:
"…dissero lui: ‘Lo
sai che ci fai cadere a fil di spada? Che cosa hai visto per annullare il decreto del re?’ Disse: ‘Che io
sono Giudeo’. Dissero lui: ma ecco che abbiamo trovato che i tuoi padri si sono inchinati davanti ai suoi
padri, come è detto ‘e si inchinarono a terra sette volte’.
Disse loro: ‘Binjamin
mio padre, era nel ventre di sua madre e non si inchinò ed io sono suo
discendente come è detto ‘un uomo di Binjamin’, e
così come non si è prostrato mio padre io non mi prostro e non mi
inchino."
Notare che ci troviamo proprio nel momento nel quale Jacov traghetta i suoi figli dalla Diaspora con la sua Torà ad Erez Israel. Il verso in questione è il problematico incontro con Esav ed il suo angelo. È un incontro nel quale il peso dell’esilio e dei suoi compromessi è ancora fortissimo. È una situazione nella quale ci si deve inchinare ad Esav. Si può vincere la lotta con l’angelo ma si deve essere pronti a pagarne le conseguenze e zoppicare. È la dimensione di Jeudà. Io sono Giudeo. Di quel Mordechai che è chiamato il Giudeo. Dell’ebreo della diaspora che anche nella migliore delle ipotesi è costretto a fare dei compromessi. Ma Modechai è Giudeo per estensione giacché in realtà biologicamente appartiene alla tribù di Beniamino, non a quella di Jeudà. Di quel Beniamino che nasce in Erez Israel e non si deve inchinare di fronte a nessuno. Di quel Beniamino che con la diaspora non ha nulla a che fare. Lui non partecipa alla vendita di Josef, non si inchina ad Esav, e non scende in Egitto fino a quando non è assolutamente necessario. Beniamino è la dimensione più sacra di Erez Israel. Jacov cerca di impedire la discesa in Egitto di questa dimensione fino a quando ciò è possibile.
Ebbene, Jerushalaim ed il Santuario sorgono come noto al confine tra la tribù di Jeudà e quella di Binjamin. Il Santo ed il Santissimo però sono nel Territorio di Beniamino. Il Santuario è nella dimensione di Beniamino, nella dimensione di Erez Israel nella sua purezza.
Nel non inchinarsi dinanzi ad Aman, discendente di Amalek, Mordechai discendente di Binjamin vuole insegnare ad Israele, incluso il resto del Sinedrio, che ci sono tre mizvot nazionali che sono legate ad Erez Israel. Mettere un Re della tribù di Jeudà, che distrugga Amalek e costruisca il Santuario sul territorio di Binjamin.
Il capitolo X di Ester si ferma al verso tre perché non siamo stati capaci di portare a compimento l’insegnamento di Mordechai. Il capitolo X avrebbe dovuto descrivere l’Alià di massa dai centoventisette stati sui quali governava Achashverosh ed il suo viceré Mordechai. Avrebbe dovuto descrivere la costruzione del Secondo Tempio e la venuta del Messia, secondo quanto profetizzato dal Profeta Zecharià. Ma l’Alià non c’è stata se non in misura minima. Abbiamo scelto le comode case di Babilonia, il negozio, gli affari e via dicendo. Tutto in maniera assolutamente ebraica. Scuole ed accademie dove si studiava Torà. Sinagoghe splendide. Zedakà, Kasherut, Mikwaot e via dicendo. Tutto secondo la Torà dell’esilio.
La Meghillà si conclude, e con essa i miracoli che possono essere scritti, con la sconfitta di Aman ma anche con la sconfitta almeno temporanea dell’idea ebraica di redenzione. È un capitolo triste, spiega Rav Elon, ma di un’attualità drammatica. È il capitolo che descrive una generazione che ha la possibilità di salire verso Erez Israel e costruire il Santuario e sceglie di rimanere in golà e rinunciare alla chiamata Divina, all’adempimento del precetto della costituzione di una nazione sacra, di uno Stato del Sacro.
Nello Jerushalmi (Meghillà I,5) è detto che Purim non verrà mai abolito. Tutte le feste sono destinate ad essere annullate dalla grandezza della rivelazione Messianica, tranne Purim. È, mi sembra, un richiamo fortissimo al messaggio di fondo della Meghillà. La Meghillat Ester non è completa. Mancano dei versi. E questi versi li dobbiamo scrivere noi attraverso la Alià verso Erez Israel. Purim non verrà annullata dalla venuta Messianica perché la venuta Messianica è il completamento di Purim, ma questa può avvenire solo attraverso la Teshuvà, il ritorno. E quale ritorno è più profondo del ritorno del popolo d’Israele alla sua Terra?
Per questo Purim, unica tra le feste d’Israele, ha una data differente a seconda del luogo dove ci si trova. C’è Purim e c’è Purim Shushan.
Purim Shushan, il giorno dopo Purim, è il giorno in cui furono impiccati i figli di Aman, è il giorno in cui cessa l’impedimento nella costruzione del Secondo Santuario. E qui c’è il paradosso. A Shushan non si festeggia Purim Shushan. A Shushan la Meghillà si legge il 14 di Adar come in ogni altro luogo. Solo le città che avevano mura all’epoca di Jeoshua, ossia le città più antiche di Erez Israel ed in primo luogo Jerushalaim, festeggiano in una data diversa. Ed è dunque strepitosa l’operazione dei Saggi che proprio in virtù ed attraverso la Torà Orale translano gli avvenimenti di Shushan nelle Città che avevano le mura all’epoca di Jeoshua bin Nun rendendo di fatto la Terra d’Israele e Jerushalaim in particolare il palco per la celebrazione del Purim Sushan. In primo luogo perché è proprio Jerushalaim che deve festeggiare la morte dei figli di Aman e il ripristino della costruzione del Santuario. In secondo luogo perché proprio Jeoshua bin Nun è il prototipo dell’autorità rabbinico-istituzionale e nazionale che deriva dalla scelta democratica Israele. Spiega infatti il Chatam Sofer (Orach Chajm siman 208) che è dall’investitura del popolo che deriva il potere di vita e di morte di Jeoshua e non dall’investitura di Moshè giacché la Torà non prevede tale potere per il re.
C’è un Purim che si può festeggiare ovunque, come c’è una Torà che vale per ogni luogo del globo. Ma c’è un Purim che nasce a Sushan quando un ebreo che non è stato capace di fare l’Alià si è ricordato che c’è una Torà di Erez Israel che non si inchina davanti a nessuno. È un Purim, Purim Shushan, che nasce da un fallimento ma che è un invito aperto per ogni ebreo. Invito mai tanto attuale quanto in questa generazione.
Io non so se David Ben Gurion
z’l intendeva questo quando
ha letto quello che le altre nazioni chiamano Dichiarazione di Indipendenza e
che noi chiamiamo Meghillat HaAzmaut. Ma sono certo che è ciò che intendeva HaRav Herzog zz’l quando su quella Meghillà ha
recitato la benedizione al "Signore nostro D. Re del Mondo che ci ha
fatto vivere e ci ha mantenuto e ci ha fatto giungere a questo tempo."
Quando in tutto il mondo il giorno di Purim si sta concludendo e gli ebrei recitano la benedizione sul banchetto di precetto, debbono sapere che la festa non è completa. Debbono sapere che a Jerushalaim i loro fratelli stanno andando Tempio a leggere la Meghillà, giacché non c’è altra fine possibile per la Meghillà che esuli da Erez Israel e Jerushalaim.
Purim è l’ultima delle feste del Tanach, ed è anche l’ultima delle feste secondo il calendario della Torà che inizia da Nissan, è forse l’apice del percorso che l’ebreo deve compiere ogni anno. Un percorso che rinasce ogni anno con Rosh Chodesh Nissan e la festa di Pesach.
Io credo sia questo il motivo per il quale Pesach è l’unica festa nella quale diciamo, l’anno prossimo a Jerushalaim. Perché se facciamo Pesach in esilio, è perché non abbiamo veramente completato il ciclo delle feste a Purim. Forse è per questo che non si dice l’Allel a Purim. I Saggi ci dicono che non lo recitiamo perché il miracolo è avvenuto fuori da Erez Israel. E Pesach allora? Eppure a Pesach diciamo l’Allel, anzi lo diciamo anche di sera! Il punto è che l’aver relegato il miracolo di Purim alla diaspora è l’antitesi del messaggio di Purim. A Purim non si dice l’Allel perché non siamo stati capaci di trasformare una festa della diaspora in una festa di Erez Israel. Perché non siamo stati e non siamo ancora capaci a fare ciò che la Torà ci chiede a squarciagola: Alià!
C’è ancora più di un mese alla
sera del Seder. Possiamo ancora materializzare l’augurio del Seder passato, leshanà habaà bJrushalaim.
L’anno prossimo a Gerusalemme.
Shabbat Shalom,
Jonathan Pacifici