DANTE LATTES, breve biografia.
Dante Lattes,
nato nel 1876 e mancato nel 1965, è stato scrittore, giornalista ed educatore dedicando la sua vita alla diffusione della
cultura ebraica e dello spirito religioso tra gli ebrei italiani.
Ha studiato Collegio Rabbinico
diretto da Elia Benamozegh e dal 1897 cominciò a lavorare per il giornale “Corriere Israelitico”
di Trieste, diventandone il direttore con Riccardo Curiel
nel 1903. Sotto la sua direzione il “Corriere
Israelitico”, fortemente impegnato nel movimento sionista, ha contribuito a
promuovere la cultura ebraica degli ebrei italiani in un contesto europeo ed
americano attraverso dibattiti e ricerche sulla storia e la filosofia e con la
pubblicazione di opere di Ahad Ha-Am,
Joseph Klausner, Israel Zangwill, Edmond Fleg e di scrittori yiddish come Shalom Aleichem,
David Pinsky, JL. Peretz.
Con Alfonso
Pacifici fondò nel
1916 a Firenze il settimanale “Israel” e nel 1925 “La Rassegna Mensile di
Israel”, a tutt’oggi pubblicata.
Fu tra i primi a sostenere la causa
del sionismo in Italia ma era soprattutto il promotore
di un’idea di educazione ebraica basata sulla fusione tra la cultura umanistica
italiana ed il pensiero ebraico.
Prolifico traduttore ha presentato al
pubblico italiano i pensatori e scrittori del movimento di rinascita nazionale
ebraica, come Ahad Ha-Am, Hess, Pinsker, Bialik, e Buber.
Ha insegnato lingua e letteratura
ebraica presso l’Istituto di Lingue Orientali a Roma. Dal
1933 Lattes entrò nel consiglio dell’Unione
delle Comunità Israelitiche (oggi Ebraiche) Italiane, e nel 1936 fu uno dei
fondatori del World Jewish Congress
a Ginevra.
Nel 1939, a seguito delle leggi
razziali emigrò in Erez
Israel (Palestina del mandato britannico) con la famiglia.
Tornò in Italia nel 1948, dove prese
di nuovo le redini della “Rassegna Mensile di Israel”
che aveva subito un fermo nel periodo della furia nazifascista.
Nel 1952 è stato eletto vice
presidente della Unione delle Comunità Israelitiche
Italiane.
Tra i suoi lavori
“Apologia dell’ebraismo” (1923), “Il Sionismo” (1928), e “Commenti sulla Torah”, sui Profeti, sui Salmi.
Attraverso i suoi scritti e
traduzioni Lattes è stato un
ispiratore ed una guida per tre generazioni di ebrei in Italia, un ruolo
esercitato con grande fede ed estrema modestia. Per anni le sue opere sono
giunte nelle case di tutti gli iscritti alle Comunità ebraiche attraverso il
puntale invio di quartine che, raccolte e rilegate si trasformavano in
pregevoli volumi.
Segue il ricordo
che il suo allievo Augusto Segre pubblicò nell’ultima
opera, postuma, di Dante Lattes, la traduzione e
commento de “Il Libro di Ruth”.
L’INSEGNAMENTO DI DANTE
LATTES
Porgi l’orecchio ed ascolta le parole dei Savi (Prov. XXII, 17)
Questo libro era in corso di stampa quando l’Autore, il nostro Maestro Dante Lattes, ci ha lasciato.
Viva e profonda perciò è la nostra
commozione, di scolari e di amici, nel presentare ai
nostri lettori questo Suo studio, che è anche l’ultima fatica della Sua operosa
e feconda giornata di lavoro. Da molti anni ormai eravamo abituati a ricevere a
domicilio e gratuitamente le ben note dispense settimanali o quindicinali,
nelle quali Egli ci offriva con semplicità, chiarezza e profondità di pensiero
il Suo alto insegnamento. Dai primi commenti alla Torà nel 1948 a questa
traduzione e commento al libro di Ruth, si è andata via via
formando presso ciascuno ai noi una piccola, ma
importante biblioteca, che offre un prezioso materiale di studio e di
consultazione, dalla Bibbia alla Mishnà, dal Sionismo
al pensiero ebraico nei suoi aspetti fondamentali e di attualità. Pochi fra i
nostri pur autorevoli Maestri ci hanno lasciato in questo secolo un cosi abbondante e ricco numero di pubblicazioni.
Se ci fosse possibile in questo
momento tentare di dare un giudizio sintetico su queste opere, non potremmo
farlo in modo migliore che riportando qui alcuni passi di quanto Egli stesso scriveva nella prefazione al Suo libro «Nel
solco della Bibbia».
«Ci sono molti modi di leggere la
Bibbia: c’è anello difficile, aristocratico, scientifico, filologico, critico,
ma è fatto per gli specialisti che hanno molti strumenti a loro servizio e si
rivolgono ad una piccola cerchia ai intelletti già
esperti in queste audaci imprese; e ce n’e un altro... che non è meno
difficile, né meno aristocratico, ma è più immediato, più affettuoso, più
spirituale, più familiare».
Dante Lattes
ci ha sempre presentato la Bibbia «con immediatezza e semplicità di spirito»
per attingervi quello che c’è di originale, di unico,
di permanente, di eterno, come chi in un giardino colga i fiori per farne
ghirlanda o le frutta per imbandirne la mensa, sicuro che la loro fragranza e
il loro sapore riusciranno graditi a chiunque ne goda, sia un poeta o un
artigiano, vesta alla maniera dell’antico Egitto o alla moda del novecento
Europeo».
Anche quando poteva avere - come ebbe e spesso - più d’un motivo per essere amaramente
deluso nelle Sue aspettative, non ricevendo dai Suoi lettori che un limitato
consenso o indifferenza o peggio ancora silenziosa opposizione, Dante Lattes, tuttavia, si e sempre sforzato di incitarci,
infaticabilmente, allo studio serio ed onesto della Bibbia, della nostra storia
e della nostra letteratura. Egli, in modo particolare, crediamo, ci ha
insegnato ad avvicinarci al nostro Libro con umiltà e semplicità, con la buona
volontà di chi vuol scoprire in esso i valori morali,
spirituali ed eterni e quindi sempre attuali e «fissare l’idea permanente e
sostanziale dell’Ebraismo». «Se la cercheremo - Egli affermava - con onestà e
con umiltà noi la troveremo costante ed alta in tutte
le sue manifestazioni».
La nostra filiale commozione è grande
in queste ore di profondo dolore, pensando anche che queste sono state le
ultime pagine della Bibbia, sulle quali si e posato
l’occhio attento ed acuto del Maestro e che esse hanno ispirato il Suo ultimo
insegnamento. Il caso - ma forse non è un caso - ha voluto che Egli, nel
concludere la missione di Maestro in Israele, si soffermasse ad illustrarci
alcune fra le figure più semplici, più gentili e più belle di tutta la Bibbia,
personaggi umili, che danno vita ad un «idillio
campestre» in un’epoca molto lontana da noi, eppure cosi vivi per l’immediatezza
dei loro sentimenti e cosi vicini al nostro animo, che anela anch’esso, ancora
oggi, e forse più di prima, alla pace e alla bontà degli uomini. In questo Suo
ultimo messaggio, Egli cerca ancora una volta di penetrare «con semplicità di
strumenti e di spirito, nella genuina idea di Israele,
di attingerne alcuni elementi e dati sostanziali, di segnalarne la continuità e
di seguirne la linea armonica, il filo conduttore che lega il Pentateuco ai
Profeti, i Profeti ai Rabbini, fino a tutti i pensatori che, per lunghe età e
vicissitudini, ciascuno nel suo stile e nella sua forma, ma con visione
unitaria, hanno rivissuto la prima intuizione della gente ebraica»; Egli ci
presenta gli attori di «una novella molto gentile», che pur in mezzo ai dolori
delle vicende umane, vivono pero in un ambiente rasserenato dalla santità del
lavoro, dall’onestà degli uomini, dalla semplicità dei costumi, dagli affetti
familiari più genuini e sentiti. La figura di Boaz infatti è quella di un galantuomo, che rispetta gli operai,
onora i poveri ed è fedele alle norme della Torà; Noemi è una donna che ha
molto sofferto, ma che trova poi una grande consolazione nel nipote e a tal
punto che le vicine di casa dicono di lei «a Noemi è nato un figlio»; Ruth
infine è un po’ il simbolo del mondo non ebraico che rispetta ed ama gli Ebrei.
Il grande e glorioso re d’Israele, l’eccelso cantore dei Salmi, simbolo,
attraverso i secoli, di tante speranze ed attese, non avrebbe certo potuto
avere antenati più degni di questi contadini, così
semplici, umili ed onesti.
Tutti sentimenti ed
ideali questi che possono, a nostro modesto giudizio, essere considerati un po’
anche come la sintesi del Suo programma di lavoro, durante la lunga giornata
della Sua operosa fatica. Dante Lattes infatti
è sempre stato in prima linea, con la straordinaria precisione ed acutezza del
Suo ingegno, con la grande passione del Suo animo, con l’abilità e la tecnica
del grande scrittore, con la fede onesta del vero Maestro, per difendere gli
ideali ebraici e gli Ebrei; Egli ha sempre strenuamente lottato per dimostrare
l’originalità, la grandezza dell’idea ebraica, ma al tempo stesso si è battuto
per riaffermare, in ogni occasione, il diritto alla vita, al rispetto, al
lavoro, alla libertà, alla pace del nostro popolo, così spesso perseguitato e
colpito dai più tragici eventi, per richiedere con l’autorità della Sua parola
che alle misere folle ebraiche fosse riconosciuto il diritto di essere uguali a
tutti gli altri popoli, nella politica e nella religione, per condannare i
persecutori e gli antisemiti di tutti i tempi, di ieri e di oggi, per
sollecitare presso le più alte personalità politiche del Suo tempo il
riconoscimento, per il popolo ebraico, di far ritorno alla propria terra e di
poter vivere, in pace con tutto il mondo, una vita normale, col frutto del
proprio lavoro, libero ed onesto.
Nel 1937, concludendo
la Sua prefazione al libro sopraccitato («Nel solco della Bibbia») e
riferendosi a «quel breve tratto di terra», a quella «piccola casa» e a «quel breve
cielo» Egli scriveva: «Ma il campo c’è ancora, intatto, col suo vasto
orizzonte, col suo cielo, coi suoi alberi, colle sue
messi, coi suoi fiori, col canto dei suoi uccelli, col sussurro delle sue
limpide acque, colle siepi che ci costruirono intorno i padri e coi tesori del
lavoro assiduo e appassionato, nella modesta casa. I capitoli qui raccolti
vogliono essere come i frutti e i fiori che uno dei tanti nipoti abbia colto sul campo della sua famiglia e di cui faccia
dono ai fratelli che sono rimasti lontano, Per quanto modesti e forse privi di
profumo, ridesteranno essi, negli altri fratelli, il desiderio di visitare il
podere degli avi per coglierne le messi che - come l’olivo, il fico, la vite
della parabola biblica (Giudici, IV, 8 segg.) - sono oggetto di tanta gloria e
cagione di tanta letizia agli uomini?». Queste parole, che
velano appena l’ansia di un generoso cuore ebraico, trepidante per le sorti dei
suoi fratelli e cosi sensibile ai sogni e alle speranze del suo popolo, ai più
cari affetti familiari, ricreano con incomparabile delicatezza ed estrema
semplicità l’atmosfera di un tema biblico e riportano davanti ai nostri occhi i
campi ricchi di messi, che fanno da sfondo al racconto di Ruth, di Noemi e di Boaz.
Nel 1965, commentando il libro di
Ruth, il Maestro deve aver rivisto, non più come in un sogno, ma come nella sua
vivente, attuale realtà, e con tutta la più intensa nostalgia, «quel breve
tratto di terra », «quella piccola casa» e «quel breve
cielo», perché anche in queste pagine, che sono le ultime che egli ci lascia,
come un testamento spirituale, si ritrova quel profumo di frutti e di fiori,
che oggi adornano la risorta terra della Bibbia, rallegrano e confortano il
popolo d’Israele.
AUGUSTO SEGRE