TORAH.IT
RAV RICCARDO PACIFICI - DISCORSI
SULLA TORÀ
L
KI TAVÒ
(Deuteronomio XXVI - XXIX, 8)
..................................................................................
La parte essenziale della Parashà odierna è occupata dall'ampia e solenne esposizione fatta da Mosè al popolo circa le conseguenze che saranno per derivare ad Israele dall'osservanza o meno ai comandi della Torà. Questa Parashà, come già l'ultima del Levitico, di cui echeggia i motivi amplificandoli, è chiamata popolarmente la Parashà delle Tokhechoth, cioè degli ammonimenti ed è infatti una pagina che per tre quarti è dedicata ai solenni avvertimenti, e ai chiari e gravi presagi su ciò che attenderà Israele se non saprà essere fedele alla parola di Dio. È una pagina biblica che non si può leggere senza rimanere fortemente impressionati, tanto severa si fa la predizione dei castighi in certi passi, da sembrare quasi eccessiva. Ma appunto in tale severità, sta anche la veridicità di quanto la Torà proclama. A nessuno può sfuggire l'importanza enorme di questo poderoso discorso di Mosè, specialmente quando si pensi che in sostanza anche la seconda parte del nostro Shemà espone in brevissima sintesi e accenna ai motivi che qui sono invece più ampliamente e dettagliatamente sviluppati. Non certo senza un profondo significato quella seconda parte dello Shemà è stata scelta dai nostri maestri per la nostra lettura giornaliera e non certo senza un alto fine. Mosè ha riservato proprio ad uno dei suoi ultimi discorsi questo grave e solenne annuncio. Oramai l'esposizione delle Mizvoth è finita, ormai il popolo è giunto al termine del suo lungo viaggio, ormai anche il sommo legislatore è giunto al termine del suo lungo magistero e sente tutta l'enorme responsabilità che grava su di lui in questo momento mentre egli sta per distaccarsi per sempre dal suo popolo. È appunto nella coscienza di questa responsabilità che egli dedica quest'ultima pagina del suo grande libro a una serie di discorsi ammonitori, uno più sublime dell'altro e che culmineranno nel discorso poetico della Parashà di Haazìnu. Il primo di questi solenni discorsi è appunto quello odierno, nel quale ancora una volta vengono prospettati al popolo gli elementi del patto di fedeltà a Dio che Israele ha concluso. Ma a questi elementi si aggiunge anche il preannunzio della benedizione e della maledizione, in caso di obbedienza o di ribellione al patto divino. Due vie sono innanzi ad Israele, due vie sono a lui chiaramente tracciate: la via del bene e del male, della benedizione e della maledizione, della vita e della morte. Israele è libero di scegliere, ma sappia fin da ora che cosa l'attende nel futuro. Ciò che egli ha impegnato in questo patto non è cosa che si riferisce alla vita di ogni giorno, è cosa che trascende il mondo e investe l'avvenire dell'umanità. Israele ha impegnato sé stesso per essere popolo sacerdote, popolo profeta per le genti: "E il Signore t'ha fatto oggi dichiarare che gli sarai un popolo possesso speciale" (Deut. XXVI, 18). Israele ha impegnato se stesso per essere - ad ogni costo - paladino del verbo di Dio in mezzo ai popoli. Se egli verrà meno a questo suo compito, la sua esistenza terrena quasi non ha più valore, perché viene a mancare il motivo per la vita di questo popolo e quindi le più gravi sciagure si abbatteranno su questo popolo ribelle, recalcitrante ad adempiere la volontà del Signore. Queste sciagure, qui contenute in forma di profezia, comprendono il popolo e la terra, come i due elementi per la realizzazione dell'Idea Divina: queste sciagure si abbatteranno sulla gente ebraica a gradi, ma con un inesorabile crescendo, finché il popolo sarà colpito dalla suprema punizione:
l'esilio, l'allontanamento dalla terra di Dio.
"E ti disperderà il Signore fra tutte le genti, da un estremo all'altro della terra... e in mezzo a quelle genti non avrai requie, e non avrà riposo la pianta del tuo piede e là il Signore ti darà cuore tremante, struggimento d'occhi e languore d'anima ecc..." (Deut. XXIX, 24 e segg.).
Viene da piangere, cari fratelli, a rileggere queste parole, viene da piangere quando si pensa alla realtà della vita di Israele e che è in così impressionante coincidenza con la parola biblica. Quasi una superiore prova di questa divina verità della Torà, che resta incisa, oltre che sulle pagine, sui cuori e sulle carni doloranti del popolo. Viene da piangere, dicevo, e da meditare e forse perciò la Torà ha voluto preannunciare tutto quello che poi si sarebbe avverato, perché, dalla più dura verità della vita e dal pianto di essa, Israele potesse risorgere all'altra verità più alta e sublime, a quella nuova vita che ogni giorno, ogni ora egli può instaurare nel mondo.