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RAV RICCARDO PACIFICI - DISCORSI SULLA TORÀ

XLIX

KI TEZÈ

(Deuteronomio XXI, 10 - XXV)

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Sarebbe veramente assai difficile esporre sinteticamente il contenuto di questa Parashà di Ki Tezè, che senza dubbio fra le Parashoth del Deuteronomio, è quella che più delle altre presenta una straordinaria ed eccezionale varietà di argomenti. Neppure la lontana Parashà di Kedoshim del Levitico può forse paragonarsi per questo aspetto a quella odierna che, in ogni modo, nell'intenzione del sommo legislatore ha voluto certamente esporre i capisaldi della vita morale nei rapporti dell'individuo col prossimo. Se infatti la Parashà precedente comprendeva almeno nelle sue parti essenziali gli ordinamenti della vita giuridica e politica in Israele e abbracciava per così dire il complesso della vita pubblica, quella di oggi invece penetra nella vita dell'individuo, regola i rapporti di lui nei molteplici aspetti della vita privata e nelle relazioni tra individuo e individuo. Chiunque abbia scorso o scorre le pagine di questa amplissima sezione biblica, si convincerà di quanto ho detto e forse nella eccezionale varietà degli argomenti che pure sono spesso legati da un filo conduttore saprà intravvederne alcuni che più degli altri mi sembra possono dare la misura del carattere morale di molti insegnamenti, di molte mizvoth, qui contenute. Una legislazione che circonda di particolare rispetto e che tratta con ogni riguardo la donna prigioniera di guerra, o che stabilisce l'obbligo di trattare con amore e dolcezza gli animali, che raccomanda di soccorrerli quando dovessero soggiacere sotto il gravame del lavoro e della soma anche se appartenenti ad altri proprietari; una legge che arriva in una sfumatura di tenerezza che ha veramente del poetico, a stabilire il rispetto dovuto alla rondine e ai suoi piccini, evitando che questi siano carpiti in presenza della madre, una legge sì fatta come si può definire se non la legge dell'amore che si estende indifferentemente ad uomini e ad animali? Sono appunto proprio gli esseri più deboli e indifesi che da questa legge vengono protetti e salvaguardati, come si dimostra più avanti nel corso della stessa Parashà: è il povero, al quale si dirige di preferenza l'attenzione della Torà, è il povero che, forse per contrarre un debito, ha dato un pegno, pegno che può essere rappresentato da una delle più elementari suppellettili della casa: dalla coperta da letto! Ebbene dice la Torà, se è un povero non dovrai coricarti con la sua coperta: ma dovrai restituirgliela prima che tramonti il sole; sicché non abbia a soffrire per colpa tua (Deut. XXIV, 12-13).

E così il lavoratore, l'operaio mercenario, che vive del proprio salario, non deve essere da te trattato ingiustamente, sia egli ebreo o forestiero, non c'è differenza. L'operaio che ha lavorato ha diritto alla sua mercede e tu dovrai corrispondergliela ogni giorno prima di notte con la stessa puntualità con cui egli ti corrisponde il lavoro; perché l'operaio vive del suo salario e ad esso si volge col pensiero ansioso l'anima sua durante il lavoro. (Deut. XXIV, 14-1).

Non dunque l'arbitrio del padrone, non l'ingiusta manomissione dei compensi, ma la retta giustizia sociale è quella che qui viene proclamata. Che dire poi delle altre categorie di persone indifese? Che dire dello schiavo, dell'orfano, della vedova, del forestiero che ad ogni passo sono ricordati raccomandandone la protezione? E proprio il forestiero, lo straniero che anch'esso ha diritto alla vita appunto perché vive senza protezione sul territorio altrui; è a lui che si debbono volgere le vigili amorevoli cure dell'ebreo.

Oh, se gli uomini potessero leggere con intendimento d'amore la Bibbia, imparerebbero davvero quale sia stata la legge del primo e più grande amore, quale sia stata la legge di pietà e di fratellanza che Israele ha proclamato, che Israele sente più che mai vera anche se gli altri han ricambiato con odio quel dono sublime che Israele sente di non aver ancora donato completamente al resto dell'umanità.