RAV RICCARDO PACIFICI - DISCORSI SULLA TOR


XLV

VAETCHANNN

(Deuteronomio III, 23 - VII, 11)

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Grande Parash quella di questa settimana, grande come tutte quelle di questo libro di Devarim che abbiamo impreso a leggere l'altro sabato. Qui non si tratta pi ormai di esporre questo o quell'episodio, questa o quella norma della Tor, qui la Tor viene oramai abbracciata nel suo insieme, riassunta nelle sue note essenziali, ripresentata al popolo nelle sue linee eterne e pur sempre nuove. Qui comincia la serie di questi grandi discorsi rievocatori, di queste poderose e solenni allocuzioni che Mos tiene a Israele, al di l del Giordano, prima di congedarsi per sempre dal popolo, prima che questi inizi il suo ingresso nella terra.

Grandi e commoventi Parashoth, dicevo, per chi ha ancora serbato un angolo ai sentimenti ebraici nel proprio cuore, imponenti Parashoth ove non sai se pi ammirare la profondit d'abisso degli insegnamenti o l'alata sintesi che li abbraccia in una superiore visione che li trasporta nelle supreme regioni dello spirito ove forse possibile talora anche a chi vissuto lontano dall'idea e dalla dottrina d'Israele, ritrovare l'eco di mondi lontani, dimenticati, ma suscettibili di essere richiamati alla coscienza dalla magica virt evocatrice di questo divino linguaggio. E la Parash di oggi forse una delle pi profonde di tutto il libro, non solo per la straordinaria variet dei motivi in essa contenuti, ciascuno dei quali potrebbe essere tema di altrettanti discorsi, ma anche perch ci presenta due di quei passi che pi degli altri racchiudono la visione programmatica della vita d'Israele: sono la ripetizione dei Dieci Comandamenti l'uno e la prima sezione dello Shem l'altro.

Sorvolo sul primo del quale a suo tempo vi parlai commentando la Parash di Itr e mi soffermo brevemente sul secondo, su questo Shem, su questa pagina di inarrivabile sintesi che la pi popolare d'Israele: non senza motivo certo i nostri maestri la scelsero a modello, insieme all'altra fra i numerosissimi passi analoghi di questo quinto libro; essi certo ravvisarono in questa semplicit e grandezza di stile, anche l'inesausta freschezza di quegli insegnamenti che le generazioni d'Israele, l'una all'altra, dovevano trasmettere con regolare disciplina di consegna, come il pi prezioso retaggio della stirpe. Ed perci per questa semplicit, per questa grandezza di linguaggio, che lo Shem diventato la sintesi delle sintesi non della fede, ma vorrei dire della certezza ebraica di Dio, di quella certezza che anche la Parash odierna conferma, nel verso: "Sappi dunque oggi e ritieni bene in cuor tuo" (Deut. IV, 39).

Lo Shem dicevo, diventato davvero il viatico d'Israele, la parola che accompagna ogni figlio d'Israele dalla culla alla tomba, la parola che ha dato la forza ai martiri di salire impavidi i roghi di tutte le generazioni, con lo sguardo sereno e col cuore traboccante nell'amore di Dio. Lo Shem la parola dell'ammonimento dolce e profondo, del richiamo suadente alle celesti verit, a quella grande verit che tutte le supera e alla quale ogni figlio d'Israele dovrebbe abbandonarsi fiducioso con la ingenuit dei bimbi, che sui loro lettini apprendono dal labbro materno quella verit e si perdono in essa, si smarriscono felici, ingenuamente felici del loro smarrimento. Ma a quanti, in Israele, davvero vicina questa parola? Quanti la rileggono non solo con le labbra ma col cuore? Quanti sentono l'attualit e l'immediatezza di quella verit? Vi sono molti modi di leggere e di studiare la Tor, e vi sono anche molti modi di leggere e di sentire lo Shem. Questa parola stessa, questa prima parola, forse la pi profonda di tutte, forse la pi incompresa: Shem, ascolta! tu ascolta; ma chi veramente ascolta, non la ripetizione mnemonica di queste parole, ma il senso che ne promuove? Chi davvero sente che quell'ascolta dovrebbe essere la rifrazione di quel grande detto "faremo e poi ascolteremo" (Esodo XXIV, 7), che i padri dissero sul Sinai? Chi ascolta ci che Dio dice, ci che l'anima d'Israele dice, ci che a ciascun animo si rivela e si annuncia con il linguaggio quasi impercettibile attraverso l'opera di ognuno?

Eppure la parola l col suo solenne imperativo: ascoltare! Ascoltare la verit semplice ed eterna di Dio e per ascoltare (programma massimo) amare non a parole, ma con gli atti: amare Dio, amarlo unitariamente, con quell'unit che la misura della sua conoscenza, amare Dio con i mezzi terreni, con la forza, con l'intelligenza, con lo studio, ma soprattutto con il cuore intiero, con l'animo pronto al sacrificio supremo, pronto a dare l'esempio della effettiva e concreta unit di Dio nel mondo.

Amare Dio e farlo amare dai nostri figli, insegnando loro ininterrottamente questa verit; amare Dio ponendo le Sue parole sul tuo cuore: hajom 'al levavkha quelle parole saranno oggi sul tuo cuore, ma Dio forse sulle labbra, non sul cuore. Dio non nel cuore nostro, Dio lontano dal nostro Shem, divenuto incomprensibile; Dio va ricercato perch stato smarrito: "Uviqqashtm misham ... u-mazta" (Deut. IV, 29). Allora Iddio si pu trovare quando lo si ricerchi col cuore e con l'animo; allora noi rinasceremo e vivremo di nuova vita: Ve-attem ha-deveqim... chajim kulekhem ha-jom (Deut. IV, 4).