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RAV RICCARDO PACIFICI - DISCORSI SULLA TORÀ

XLI

PINECHÀS

(Numeri XXV, 10 - XXX, 1)

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Tra la fine della Parashà della scorsa settimana e l'inizio di quella odierna si svolge un episodio di cui è protagonista quel personaggio il cui nome dà il titolo alla Parashà di oggi: Pinechàs figlio di Eleazar nipote di Aaronne. Mentre gli Ebrei si trovano al confine del territorio di Midian, accade che alcuni, molti di cui traviati da donne midianite, si abbandonino all'idolatria e ai riti osceni del Baal Peor; fra i peccatori non mancano anche ragguardevoli personaggi ed è appunto uno di costoro, capo di una casta della tribù di Shimon, che non ha ritegno a esporsi pubblicamente dinanzi alla congrega d'Israele, a questi atti osceni associandosi nelle colpe a una midianita. È allora che Pinechàs giovane sacerdote, acceso di zelo religioso per l'onta pubblica recata al popolo, pieno di entusiasmo per la causa di Dio, non esita a compiere da solo giustizia sommaria dei due peccatori, proprio alla presenza di tutta l'assemblea, e proprio mentre una terribile calamità falciava nell'accampamento i numerosi altri peccatori che si erano abbandonati all'innominabile idolatria. L'atto di Pinechàs è l'atto di chi per la santità del nome di Dio, non esita dinanzi ai supremi cimenti e ai supremi rischi; è l'atto di chi, come in questo caso, ristabilisce l'onore alla santità del nome di Dio offeso pubblicamente, con l'esemplare punizione di due dei più ragguardevoli personaggi tra i peccatori. Perciò la Parashà odierna comincia dicendo: "Pinechàs ha frenato il mio sdegno contro i figli d'Israele, col suo ardente zelo religioso, sicché non ho distrutto i figli d'Israele; perciò (o Mosè) dì a lui: io stringo con lui il mio patto di pace e sarà patto per lui e per la sua discendenza, patto di sacerdozio eterno" (Numeri, XXV, 10 segg.). Perché il patto fra Dio e Pinechàs prende il nome di shalom? Perché Pinechàs col suo gesto ha espiato le colpe dei figli d'Israele e ha ristabilito la pace tra loro e il loro Padre che è nei cieli? Orbene questa intesa, questa comunione spirituale, questa forza religiosa non è solo di Pinechàs, ma è dopo di lui il privilegio di tutti coloro che si erigono a campioni dell'idea di Dio, in mezzo all'incomprensione generale; è il patto segreto che unisce Dio allo spirito di tutti quei grandi che per il trionfo della Sua verità nel mondo, sono pronti a tutto tentare e a tutto osare. Non a caso, certo, sono state scelte per questa Parashà due haftaroth che parlano appunto dello zelo religioso di due grandi profeti: di Elia l'una, di Geremia l'altra: di Elia che, anch'egli, si cinse di zelo religioso per la causa del suo Dio di contro al popolo idolatra e peccatore, di quell'Elia che è poi divenuto il simbolo popolare di tutte le lotte e di tutte le battaglie, sino all'ultima conquista dell'era messianica; e di Geremia, l'altra haftarà che ci parla della sua iniziazione profetica: "Ecco io ti ho posto oggi - dice il Signore - sulle nazioni e sui reami, per svellere e abbattere, per distruggere e demolire, ma anche per costruire e piantare" (Geremia I, 10). "E tu cingerai i tuoi fianchi, sorgerai e parlerai contro di loro, tutto quello che io ti comanderò, non temere dinanzi a loro" (Geremia I, 17). Ecco qui in pieno presentata la figura eroica di quello che sarà davvero il più eroe dei profeti; ecco qui delineato lo zelo e l'entusiasmo religioso di questo campione dell'idea di Dio, che dovrà anche prepararsi a distruggere, a combattere se vorrà poi ricostruire: "ecco io ti ho posto come città fortificata, come muraglia di ferro e di rame su tutta la terra..." (Geremia I, 18). Ecco quindi il profeta che deve erigersi col petto e con la fronte, come torre che giammai non crolla la cima per soffiar dei venti; deve erigersi per combattere e lottare contro i nemici di Dio e delle Sue verità, contro tutte le idolatrie e contro tutte le falsità. Questo è lo zelo del profeta, lo stesso zelo di Pinechàs che non esita a combattere e a distruggere due vite per salvare quella di un intero popolo, questo è lo zelo dei profeti e degli uomini di Dio che conoscono le mete finali, sanno che il cammino è aspro, che la lotta è dura, ma sanno anche che essi combattono per il trionfo di quello shalom, cioè di quella vera pace che non può instaurarsi finché, come dice il profeta, attraverso tutta la faticosa conquista, attraverso tutte le più gravi lotte, la conoscenza di Dio non riempirà tutta la terra, come le acque riempiono l'immensità dei mari (Isaia XI, 9).


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