RAV RICCARDO PACIFICI - DISCORSI SULLA TORÀ


XXXIX

CHUKKAT

(Numeri XIX - XXII,1)

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 Tra i vari episodi e argomenti che presenta la Parashà odierna, ve ne sono due che sebbene staccati nel racconto, si possono considerare come un unico episodio: la morte di Miriam e di Aaronne. Nel deserto di Tsin e precisamente nella località di Kadèsh, viene a mancare per prima Miriam, la profetessa Miriam, la sorella di Mosè ed Aaronne; la donna ispirata anch'essa dal Signore. E sorella essa era in ispirito, perché infatti nel Talmud (Taanith, 9a.) si parla dei tre fratelli, come di tre guide del popolo, si parla di loro come di una triade inscindibile che agisce sempre nello spirito e nella volontà del Signore. A parte tutta la storia della loro famiglia, e tutta la loro partecipazione viva e continua alla vita del popolo, c'è proprio secondo il Talmud un fatto che illustra chiaramente i meriti precipui che ciascuno dei tre fratelli si era acquisito e dei quali aveva reso partecipi il popolo. E il fatto sta in relazione con la loro morte: muore Miriam e scompare l'acqua di mezzo a Israel, quell'acqua che secondo la leggenda talmudica accompagnando Israele in forma di pozzo portatile, quell'acqua era il dono di Miriam; essa muore, e il popolo comincia ad avvertire la mancanza dell'acqua e si ha l'episodio di Kadèsh con la rupe, dalla quale Mosè ed Aaronne fanno scaturire l'acqua; manca l'acqua dunque, ma Mosè ed Aaronne per loro merito la fanno sgorgare.

Qualche mese più tardi sul Monte Hor viene a mancare Aaronne ed anche qui la di lui scomparsa, segna la sparizione di un altro segno della provvidenza Divina, cioè delle nubi sacre, simbolo della protezione di Dio. Ma anche qui il merito di Mosè supplisce, e le nubi tornano a riaccompagnare e a proteggere Israele nelle successive marce, nel deserto e nella prima guerra di conquista contro i popoli del Néghev; quando più tardi verrà a mancare la grande guida di Mosè, scompare con lui la manna che era stato il primo e più grande segno della provvidente bontà di Dio e con la manna scompaiono anche il pozzo, e le nubi sacre, la cui continuità era stata dovuta agli eccezionali meriti di Mosè.

Ora a me sembra che il pozzo e l'acqua di Miriam di cui è menzione nel Talmud a proposito della morte della profetessa, e che ritorna nel ricordo poetico della fine della Parashà, proprio sulle sponde di quel fiume Arnon che segna il confine tra Moab e la terra d'Israele, quest'acqua cui pure si riferisce l'episodio centrale delle contese di Merivà, mi sembra che questo motivo dell'acqua nasconda quasi invisibile nella Parashà odierna l'idea più profonda della spontaneità della fede verso Dio e della dedizione a Lui, che deve appunto sgorgare spontanea e viva dal cuore di ogni uomo come l'acqua zampilla fresca dalla sorgente. Perciò l'acqua è divenuta anche la similitudine preferita per parlare della Torà, nella fantasiosa immagine dei nostri maestri; perciò è l'acqua che ritorna nel cantico del pozzo, che Israele intona lì ai confini della terra promessa, dopo la faticosa marcia e dopo le prime felici conquiste, è là che essa sembra riassumere le virtù feconde dei migliori della stirpe e perciò il popolo inneggia al pozzo scavato dai principi del popolo, trivellato con l'appoggio e il sostegno del profeta legislatore, è là ai confini di quella terra che deve segnare il nuovo destino d'Israele, che la sorgente d'acqua inesauribile viene esaltata dal canto del popolo, come la sorgente delle più fresche e vive acque, che discendono dai cieli e scendono negli abissi e sono le acque eterne, riserva inesauribile di forza e di virtù, di fede e di speranza per Israele e per tutti gli uomini che ad esse vanno a dissetarsi.