RAV RICCARDO PACIFICI - DISCORSI
SULLA TORÀ
XXXI
EMOR
(Levitico XXI - XXIV)
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Un interessante rilievo ci offre la Parashà odierna, un rilievo che ha stretta attinenza con questo periodo dell'anno ebraico che noi stiamo attraversando. Noi siamo infatti in quel periodo di tempo che corre tra Pesach e Shavuoth e che è conosciuto comunemente sotto il nome dell'Omer. La nostra Parashà, che a un certo punto si occupa della fissazione delle festività ebraiche in relazione alla loro sequenza nel ciclo del calendario annuale, parla appunto di questo periodo, parla dell'istituzione dell'Omer e delle leggi relative. Per ben comprendere questa istituzione, bisogna ricordare che la prima festività del calendario ebraico, Pesach, oltre ad avere il significato storico a tutti noto, ne ha un altro meno noto, ma pure importante, ed è quello che chiamasi agricolo; un significato, del resto, che si ripete a seconda delle varie stagioni, nelle varie festività, nelle tre principali ricorrenze festive: Pesach - Shavuoth - Succoth. Pesach è dunque oltre che Chag ha-mazoth anche Chag ha-aviv, la festa della primavera, la festa dei primi germogli, la festa della prima maturazione delle messi, è la festa che segna il preludio della mietitura, segna l'inizio di quel periodo che termina appunto col sopraggiungere della festa di Shavuoth, detta anche festa della mietitura. Ora la Torà stabilisce che proprio all'indomani del primo giorno festivo di Pesach, prima che le operazioni agricole avessero il loro regolare svolgimento, prima che ogni figlio d'Israele si accingesse alla mietitura graduale delle varie specie di cereali, un primo manipolo di orzo, l'Omer, dovesse essere presentato in omaggio, come primizia della raccolta al Santuario. Era un atto di doverosa e devota gratitudine a Dio, che aveva benedetto i campi, i lavori, le fatiche degli uomini, era un atto che voleva ricondurre il lavoratore al pensiero alto di Colui dal quale discendono i beni della terra, e per primi proprio quelli che nascono direttamente dalla terra e che più palesemente degli altri hanno bisogno della benedizione del cielo. Ma oltre alla presentazione di questo omaggio dell'Omer, la Torà ancora prescrive: "E conterete per voi dall'indomani della festa, dal giorno in cui avrete portato l'Omer in omaggio, conterete sette settimane complete, conterete 50 giorni e presenterete una nuova offerta al Signore" (Levitico XXIII, 13). Quale è il significato di questo computo? È una domanda che forse molti si sono fatta anche prima d'oggi, perché se tutti sanno che la Mizvà dell'Omer non è praticata da noi oggi, come tutte le altre Mizvoth legate alla terra, tutti egualmente sanno o dovrebbero sapere che la Mizvà del conteggio di questi giorni è invece regolarmente attuata ed è quella che noi stiamo facendo in questo periodo. Perché dunque si contano i giorni dell'Omer? Per rispondere bene al quesito occorre ricordare se vi siano nella Torà altri casi, altre circostanze in cui se non viene diciamo esplicitamente imposto il conteggio di giorni e di epoche, pure questo conteggio in effetti si verifica ed è in relazione a una determinata scadenza che ha uno speciale significato. Ecco: in Israele si contano prima di tutto i giorni della settimana proprio in relazione allo Shabbath, e si dice primo giorno, secondo giorno etc., rispetto al sabato; quindi il conteggio è in relazione col sabato, ragione e scopo di tutto il lavoro settimanale. Si contano i giorni di scadenza prima di procedere alla milà di un bambino. Contava i giorni una persona affetta da una impurità rituale prima di riacquistare la purezza del corpo e di poter avere di nuovo i contatti colla società. Si contavano poi, per passare a più lunghi periodi di tempo, gli anni rispetto alla scadenza dell'anno sabbatico, ogni settennio e si contavano infine gli anni, prima della scadenza dell'anno giubilare. Quest'ultimo computo era proprio di 49 anni, parallelo ai 49 giorni del nostro Omer. Or bene, se si fa attenzione a tutti questi casi similari che io ho ricordato (e forse potrebbero esserci altri casi) si nota che in tutti si tratta di passare da una condizione a un'altra del tutto diversa, talvolta anzi opposta: lo Shabbath segna luminosamente uno stato, una condizione assolutamente diversa da quella degli altri giorni, l'8° giorno per il neonato maschio segna il suo ingresso nell'alleanza di Abramo e la sua effettiva nascita alla vita d'Israele; la persona impura che alla scadenza del periodo riacquista la purità, passa a un nuovo stato; l'anno sabbatico aveva nella società un valore di rinnovamento e così quello giubilare significava una pacifica rivoluzione nel campo e nei rapporti della vita sociale. Orbene da questi esempi noi deduciamo il significato del conteggio del nostro Omer; anche l'Omer segna il passaggio per Israele da uno stato all'altro. Israele che in Pesach celebra la sua uscita dall'Egitto, la proclamazione della sua unità di popolo, deve prepararsi a celebrare la sua nascita alla vita vera d'Israele, alla sua vocazione di popolo sacerdotale, che si celebra appunto in Shavuoth, insieme all'accettazione della Torà; non è l'indipendenza nazionale, non è neppure il possesso effettivo e l'usufrutto dei beni della terra che costituiscono la mèta ultima per Israele. Israele non termina lì il suo compito, anzi di lì comincia a prepararsi per la sua alta missione che va al di là di quella che è la normale vita di un popolo. Israele deve ascendere i gradini di questa nuova vita, deve contare questi gradini che lo conducono alla visione più alta della sua mèta e del suo destino e ogni anno, non una volta sola, prima di riacquistare il dono della Torà, deve quasi ripercorrere la strada dell'ascesa, deve saper riavvicinarsi alla valutazione di questo gran bene. È perciò in questo periodo che Israele si addestra o si dovrebbe addestrare a questa riconquista: contando i giorni dell'Omer noi vogliamo come ripresentarci dinanzi l'enorme distanza che ci separa da questo gran modello della nostra vita, noi vogliamo soprattutto affermare che la Torà è un bene altissimo che sta sulla vetta dello spirito e a conquistare il quale noi possiamo disporci solo con la preparazione della mente pura, con la tensione dei nostri animi, proprio come chi si accinge a salire l'erta di un colle: quanto più faticoso e aspro è il cammino, tanto più grande appare la conquista!