RAV RICCARDO PACIFICI - DISCORSI SULLA TORÀ

XI

VAJGGASH

(Genesi XLIV, 18 - XLVII, 27)

.................................


 

Quando due settimane or sono cominciai a parlarvi della storia di Giuseppe e dei suoi fratelli, vi dissi che forse nessun altro racconto biblico, come questo, dà la misura di quel carattere di alta e profonda umanità che distingue tutti i racconti e i personaggi della Torà; quella mia osservazione tornerà forse alla mente di qualcuno di voi che abbia letto con attenzione la Parashà odierna che è come il felice epilogo della storia cominciata due sabati or sono. Quel carattere di umanità di cui parlavo poc'anzi, quel segno o quel senso della profonda e intima realtà umana dei personaggi biblici pervade, si può dire, ogni verso della sezione odierna, ove non v'è momento della narrazione, non v'è episodio o frase che non tenga ansiosamente tesa o appassionatamente commossa l'anima del lettore, che sente e riconosce rispecchiata tanta verità in queste semplici e popolarissime narrazioni. Ove trovare infatti maggiore espressione dei sentimenti umani e familiari che in questa Parashà, ove l'affetto di un padre spasima per la probabile perdita di un figlio e ove l'affetto di un figlio si riversa in concitate espressioni nel momento in cui Giuseppe si fa riconoscere dai fratelli? Ove più copiosa onda di affetti che quella riconoscibile nel momento in cui i fratelli danno la mano al fratello e questi piange di commozione con loro non tanto per l'avvenuta riconciliazione, quanto per i drammatici episodi che l'hanno preceduta e preparata? Qui il nostro cuore batte all'unisono con quello dei protagonisti di questo racconto, e sente appunto in questa vicinanza e immediatezza di sentimenti la più alta riprova delle grandi verità e dei grandi insegnamenti che questa pagina biblica ci offre. Ma accanto a questa constatazione di ordine - direi - sentimentalmente affettiva, dobbiamo farne un'altra che investe tutto il racconto nel suo complesso e che ci riporta a considerarne lo svolgimento nei punti estremi: in quello di partenza e in quello di arrivo. Ed anche qui mi riferisco a quanto già ebbi a osservare due sabati or sono: dissi allora che al disopra delle valutazioni singole dell'azione e delle figure dei singoli personaggi, un fatto si imponeva alla nostra attenzione, un fatto che emerge dal racconto nella sua prima fase: la famiglia di Giacobbe, anziché dare l'esempio dell'unità e della concordia mostra subito i segni della disunione, dell'invidia, e dei contrasti tra i suoi membri. Fosse ciò dovuto a un errore di reciproca valutazione o a equivoci talvolta purtroppo insopprimibili nella vita e nei rapporti tra gli uomini, anche legati dai vincoli più prossimi del sangue, fatto sta che al posto di una vita armoniosa e concorde, noi assistiamo alla contesa, all'odio con tutte le conseguenze che ne derivano.

Or bene qui - nella Parashà di oggi - che ci riporta invece al punto finale del racconto, noi assistiamo al ritrovamento di quell'unità familiare perduta, a quell'unità di sentimenti, di vedute, di opinioni che doveva essere il bene più prezioso per questa famiglia. La riconciliazione avviene, ma non è una riconciliazione superficiale fatta per l'occasione, è il frutto maturato di una lunga sequela di dolorosi avvenimenti, di dolorose prove che la preparano e che ne garantiscono la consistenza e la solidità: che significato infatti hanno tutti gli stratagemmi, tutte le finzioni a cui Giuseppe ricorre, prima di rivelarsi ai suoi fratelli? Perché non mostrarsi subito a loro per quello che egli è, perché sottoporli a così dure prove ed esasperarne quasi l'animo in episodi che possono sembrare inutili o - ancor peggio - frutto di amare e vendicative premeditazioni? Appunto in questi episodi sta tutta la verità che prepara la riconciliazione: Giuseppe vuole in altri termini saggiare l'animo dei fratelli e vuole che questi saggino il suo. Una barriera era sorta che divideva l'animo di coloro che erano nati per essere uniti; una barriera creata dai soliti equivoci, dalle solite false interpretazioni sull'animo altrui era una barriera che dimostrava quanto fosse facile purtroppo fraintendersi: ora questa barriera creata artificialmente doveva cadere; Giuseppe doveva mostrarsi per quello che egli era e i fratelli anche; bisognava dunque cercare e provocare certe condizioni di vita nelle quali l'animo di ognuno avrebbe dovuto rivelarsi nella sua naturalezza: è quello che Giuseppe prepara: i fratelli avrebbero dovuto mostrare di che tempera era il loro animo. Sarebbero stati ancora così insensibili all'affetto verso un piccolo fratello e verso il vecchio padre? La prova era li ad attenderli; d'altra parte Giuseppe, che era non soltanto il sognatore di utopistiche grandezze, ma era l'effettivo signore di un grande paese sul quale esercitava la sua autorità, Giuseppe, dico, avrebbe dovuto dimostrare che l'animo suo anche in mezzo a questa grandezza di potere era ben diverso da quello che l'invidia dei fratelli aveva potuto giudicare: ed ecco che attraverso queste prove, sia pur dolorose, l'animo dei fratelli si riconosce nell'unità sostanziale dei sentimenti, e Giuseppe può essere sicuro che ormai egli appartiene tutto ancora alla sua famiglia - la sua famiglia a lui -; si raggiunge così l'auspicata unione tra i membri della famiglia, i dissidi sono composti e superati nella visione di un principio superiore al quale tutti servono e si sottopongono, e infatti quando di lì a poco Giacobbe si trasferisce in Egitto con tutti i suoi, il sacro testo, dopo aver passato in rapida rassegna tutti i figli e i nipoti di Giacobbe dice che queste settanta persone formavano una sola anima, una sola vita, una sola volontà, anima, vita, e volontà personificate da Giacobbe, che era il capostipite e il perno di tutta la famiglia da lui procreata. Si preparava così la premessa per la vita unitaria della futura gente di Israele, la concordia, l'amore, la solidarietà, l'unità dei sentimenti nel mondo terreno: al disopra di questa unità tra gli uomini, o meglio in correlazione con essa, il principio unitario di Dio: Dio era stato l'artefice di tutto, Dio aveva preparato, guidato e voluto tutto. Gli uomini in basso avevano frazionato le loro volontà, le loro azioni, i loro sentimenti, ma pure attraverso questi frazionamenti, attraverso l'incomprensione si erano infine ritrovati nel principio armonico della loro sostanziale unità umana: era in questa unità, in questa fraternità umana, in questo ritrovato amore che essi avrebbero scorto l'amore e l'unità di Dio!