RAV RICCARDO PACIFICI - DISCORSI
SULLA TORÀ
VIII
VAJSHLACH
(Genesi XXXII, 4 - XXXI)
IL NOME DI "ISRAELE" E LA LOTTA
Il ritorno di Giacobbe verso la terra dei padri, l'incontro e la riconciliazione col fratello Esaù, i primi episodi della sua vita e quelli della sua famiglia in terra di Canaan, questi sono gli argomenti principali svolti nella sezione biblica di "Vajshlach". Soffermiamoci sulla prima parte di essa che narra con ricchezza di particolari l'incontro dei due fratelli. Leggendo questa prima pagina la nostra mente pensa e si prepara ad assistere non ad un incontro, ma ad uno scontro armato; tali sono le intenzioni ostili con cui Esaù marcia contro il rivale fratello alla testa di un esercito. Il grave pericolo è pienamente avvertito da Giacobbe che si prepara agli eventi più dolorosi fidando unicamente nell'aiuto di Dio e a Lui rivolgendosi in una appassionata fervidissima preghiera. E quel Dio che aveva mostrato fino ad allora la sua protezione verso il patriarca, torna a manifestarsi col suo provvidente aiuto; dinanzi agli atti di devota umiliazione del fratello che a lui si presenta in atto di rispettoso omaggio con tutti i suoi familiari, Esaù si lascia vincere dall'onda degli affetti e in uno slancio di amore si getta nelle braccia del fratello e con lui piange di commozione. Tutto ciò è molto umano e molto commovente, ma ancora più profonda impressione suscita in noi l'episodio che precede la riconciliazione dei due fratelli e che in un certo senso lo prepara e lo giustifica.
E un altro incontro che nel cuore della notte, in quella notte di attesa e di vigilia, Giacobbe ha con un essere ignoto che
con lui contende fino alle prime luci dell'alba. Questo essere sconosciuto che
si avvince a Giacobbe e in una lotta disperata vuole
atterrarlo è, secondo il Midrash, il genio di Esaù, è l'angelo
protettore di Esaù che contrasta a Giacobbe il cammino della vita. Ecco perché questo incontro è come l'anticipazione di quello tra i due
fratelli: è qui in una atmosfera che trascende la vita umana, che si annuncia
quella lotta che compendia e sostituisce quella del mondo terreno; è qui che si
riassume in un'immagine vivente il complesso delle passate e future contese che
Giacobbe dovrà sostenere col mondo avverso: non solo la guerra con Esaù che lo
attende, ma quella con infiniti altri personaggi che gli contenderanno il
passo, con infinite altre forze che si erigeranno contro a lui per abbatterlo o
per sottrargli il terreno della sua azione. Ora Giacobbe
prima di ritornare in quella terra che sarà come il teatro della sua
azione futura, deve sapere che in tutto questo mondo di contese che a lui si
prepara, il vincitore ultimo sarà lui; e la visione notturna con la lotta
dell'angelo, mentre è l'anticipazione simbolica di quella contesa, è anche la
conferma dell'aiuto e della promessa di Dio. E Dio
suggella questa promessa annunciando a Giacobbe che ormai una nuova vita è
cominciata per Lui, una vita il cui significato è racchiuso in un nuovo nome:
non più il modesto nome "Ja'akov"
che suona inganno, ma il fulgido nome di "Israel" sarà
l'insegna di Giacobbe. Israel è il lottatore, il combattente, il milite
dell'idea di Dio, l'assertore valoroso di questa idea
nel mondo: questo è il compito che attende Giacobbe, questo il programma della
sua vita, compito aspro e duro che si riassume in una parola: lotta.
Giacobbe, Israel deve sapere fin d'ora quali saranno le condizioni e l'esito di questa lotta; egli deve sapere che se anche sarà destinato a vincere, resterà tuttavia colpito durante le fasi della lotta; la ferita al femore riportata nella contesa con l'angelo, è il simbolo di altre ferite che renderanno difficili e gravi le condizioni di Israel nel cammino della sua storia. Israel non avrà la pienezza della forza fisica, sarà zoppicante da un lato perché gli verranno a mancare le premesse elementari per la lotta; ma appunto questa deficienza di vigore fisico deve dimostrare a Giacobbe che non sulla forza materiale egli dovrà fidarsi, ma su quella che proviene da Dio.
Tutto ciò dice e preannuncia l'episodio notturno della lotta con l'anonimo personaggio. E molto significativo che quell'episodio si svolga ai confini della terra di Canaan, mentre Giacobbe sta per varcare di nuovo i termini del suo territorio nativo. Anche quando egli era partito di là, una visione simbolica era apparsa a lui: allora il sole si era oscurato quasi improvvisamente e nel silenzio della notte egli aveva visto un sogno mirabile nel quale Dio e gli angioli erano i protagonisti; ora, invece, il sole sfolgora in tutta la sua luce dinanzi a lui, dopo una oscura scena notturna che è stata un secondo messaggio, a conferma del primo. Incontro a questo sole che è il sole della nuova vita che gli si annuncia, Giacobbe procede col suo nuovo nome Israel: è con questo nome che egli varca il fiume Jabbok e fa il suo ingresso nella terra di Canaan. Egli procede e si ferma a Shekhem, là dove l'antenato Abramo aveva sostato la prima volta, quando era venuto dall'originaria Ur-Kasdim; anche Giacobbe torna da quella terra che era stata la terra di Abramo, ma vi torna ricco di esperienze, fatto forte e temprato alla lotta da una vita di sacrifici. Egli si accampa vicino a Shekhem e là costruisce un altare cui dà un nome: "Dio di Israele", nell'erezione di quell'altare che rappresenta un atto solenne e religioso è anticipata quella vita di dedizione, di costruzione spirituale in nome dell'idea di Dio che sarà il compito di Giacobbe e della sua discendenza.
Quell'altare è la prima pietra dell'edificio che
Israel uomo e Israele popolo dovranno erigere su quella terra. Idealmente la
vita nuova di Israele è già cominciata.